àtomo Lessicosm. [sec. XIV; dal gr. átomos, propr. inscindibile (agg.), quindi atomo]. 1) Ciascuna delle particelle indivisibili, dalla cui aggregazione si supponeva in passato che fosse costituita la realtà fisica. 2) In senso scientifico, costituente fondamentale della materia negli stati solido, liquido e gassoso; è considerato la più piccola frazione di sostanza semplice suscettibile di partecipare a combinazioni chimiche. Fig., parte, quantità piccolissima: "Gli eruditi... non hanno per lo più un a. di mente poetica" (Foscolo). 3) In metallurgia, a. interstiziale , ogni a. presente nel reticolo cristallino di un metallo o di una lega in una posizione diversa da quella propria dei nodi del reticolo stesso. 4) In astronomia, a. primigenio o a. primevale, nucleo di materia estremamente densa nel quale si ritiene fossero condensate tutta la massa e l'energia attualmente distribuite nell'universo. Le teorie cosmologiche che ritengono l'universo in espansione devono partire da questa ipotesi, suffragata oggi da molte conferme teoriche e sperimentali (v. cosmologia, universo). 5) In matematica, elemento di un insieme parzialmente ordinato che non è preceduto da nessun altro tranne che da quello che precede tutti. In particolare ogni insieme totalmente ordinato è dotato di un solo atomo. P. es., l'insieme dei numeri naturali 0, 1, 2, 3, ... dotato dell'usuale ordinamento ha il numero 1 come unico atomo.Fisica: caratteri generaliGli elementi che compongono la materia (secondo le ultime scoperte sarebbero 107) sono formati da a. con caratteristiche ben determinate, specifiche di ogni elemento, quali p. es. la massa e il numero atomico. Pur essendo dal punto di vista chimico la più piccola struttura materiale esistente, l'a. non rappresenta però il costituente ultimo della materia. Globalmente neutro e di dimensioni dell'ordine di 10-10 m, l'a. è infatti sostanzialmente formato da tre tipi di particelle: elettroni di massa m =9,108×10-31 kg e con carica elettrica negativa e =-1,602×10-19 C; protoni di massa M =1,672×10-27 kg con carica elettrica positiva, uguale in valore assoluto a quella dell'elettrone; neutroni di massa leggermente superiore a quella del protone ed elettricamente neutri. I protoni e i neutroni occupano la parte centrale dell'a., il nucleo, il cui raggio è dell'ordine di 10-15 m e nel quale è quindi concentrata la quasi totalità della massa atomica. L'ipotesi atomica, l'ipotesi cioè dell'indivisibilità della materia, fu introdotta quale argomento di speculazione filosofica fin dal sec. V a. C. da Democrito e dalla sua scuola (v. atomismo). Ripresa nel sec. XVIII per interpretare alcuni risultati della teoria cinetica dei gas, la sua validità venne confermata durante il sec. XIX con l'impetuoso sviluppo della chimica. Gli ulteriori progressi della fisica sperimentale (scoperta dei raggi catodici e dei raggi canale, dei raggi X, degli spettri atomici, della radioattività) misero in piena luce, alla fine del secolo scorso, la complessità della struttura dell'a. e invalidarono il concetto di a. inteso come particella ultima della materia. Il lavoro teorico che ne seguì, volto a interpretare i numerosi dati sperimentali, portò allo sviluppo di nuovi settori della fisica quali la meccanica quantistica, la fisica atomica e la fisica nucleare, dando così inizio a una nuova era scientifica, l'era atomica.L'elaborazione dell'ipotesi atomicaL'introduzione su basi scientifiche della teoria atomica è dovuta a Daniel Bernoulli. Partendo dalla considerazione che la materia fosse costituita dall'unione di unità elementari di dimensioni molto piccole e poste a grande distanza tra loro, Bernoulli dimostrò nella sua Hydrodynamica (1738) che la pressione p di un gas è inversamente proporzionale al volume V da esso occupato, dando così un fondamento teorico alla legge sperimentale di Boyle: pV =costante. Nel 1803 il fisico e chimico inglese John Dalton usò il termine a. per indicare nei gas le particelle ultime della materia e successivamente postulò che a ogni elemento chimico corrispondesse un a. specifico, ipotesi teorica che si impose all'attenzione degli scienziati per le conferme sperimentali di C. I. Berthollet, di J. L. Proust e di L. J. Gay-Lussac suoi contemporanei. L'analisi delle miscele, condotta nel 1808 dal chimico francese Proust, mise in evidenza la struttura discontinua delle sostanze chimiche: in base a questi risultati la materia appariva non più come un tutto continuo e omogeneo, ma come un'unione di sostanze differenti, unione che implicava una sua struttura granulare. Nasceva così l'ipotesi molecolare, fondata sul presupposto che ogni sostanza chimica distinta, o sostanza pura (non frazionabile mediante congelamento o distillazione), fosse formata, a sua volta, da particelle identiche tra loro ovvero da molecole. E poiché le sostanze pure risultavano composte da sostanze semplici in proporzioni esattamente definite (legge di Proust) se ne poté dedurre che le molecole erano formate da a. di elementi chimici diversi. La classificazione degli elementi a seconda delle loro proprietà chimiche e del loro peso atomico, alla quale si interessarono numerosi chimici, venne elaborata nel 1869 dal chimico russo D. Mendeleev che riuscì a ordinare gli elementi in base all'ordine crescente del loro peso atomico. Il successo conseguito dal grande chimico segnò il trionfo dell'ipotesi atomica perché stabiliva inequivocabilmente la discontinuità della materia. Dal punto di vista teorico la periodicità delle caratteristiche chimiche degli elementi rimase allora inspiegabile proprio in quanto implicava una relazione tra i differenti a. che fu giustificata solo successivamente dalla scoperta della struttura interna dell'atomo. La struttura dell'atomoMentre le leggi chimiche (Dalton, Gay-Lussac, Avogadro, ecc.) mostravano come la materia non fosse un tutto continuo divisibile all'infinito, ma fosse invece composta da particelle "elementari", a. e molecole, tutta una serie di nuovi fenomeni ed esperienze portava a scoprire una struttura interna dell'a. stesso. Si scoprirono cioè nuove particelle costituenti l'a., che appariva quindi non più indivisibile, ma composto a sua volta di parti. La prima di queste particelle fu trovata da J. W. Hittorf nel 1869; studiando i raggi catodici, scoperti da J. Plücker nel 1858, egli dimostrò come questi fossero costituiti da particelle cariche, con carica e massa ben definite. Queste particelle, chiamate elettroni da J. Stomey nel 1891, la cui massa è ca. 1/2000 della massa dell'idrogeno (E. Wiechert, 1897), furono ben presto riconosciute quali costituenti universali della materia e identificate come gli a. di elettricità postulati intorno al 1830 per interpretare le leggi di Faraday sull'elettrolisi. Nel 1909 C. Barkla, studiando la diffusione dei raggi X, riuscì a determinare il numero di elettroni di ogni elemento, trovando per gli a. leggeri un valore uguale al numero d'ordine dell'elemento nella classificazione di Mendeleev. Il numero degli elettroni che compongono l'a. è dunque, come la massa, legato a ogni a. specifico; esso prende il nome di numero atomico e viene indicato con la lettera Z. Un secondo tipo di particelle costituenti universali dell'a., i protoni, venne messo in evidenza da E. Goldstein nel 1886 con la scoperta dei raggi canale; gli studi di W. Wien, di J. J. Thomson e di J. Perrin dimostrarono che si trattava di particelle dotate di carica elettrica positiva, uguale in valore assoluto alla carica dell'elettrone e la cui massa coincideva praticamente con la massa dell'idrogeno. Nell'ambito di queste ricerche, Thomson riuscì a calcolare con estrema precisione la massa di a. ionizzati (a. cioè ai quali erano stati sottratti uno o più elettroni) e a differenziare, nel 1913, in uno stesso elemento chimico, a. con masse atomiche diverse (isotopi) rappresentate da numeri interi (numeri di massa, A), multipli della massa dell'idrogeno posta uguale a 1. La terza particella subatomica venne scoperta da J. Chadwick nel 1932 (scoperta che gli valse nel 1935 il premio Nobel). Questo nuovo costituente dell'a., di massa quasi identica a quella del protone, ma elettricamente neutro, fu chiamato neutrone. Mentre venivano identificati i primi componenti elementari dell'a. e si invalidava così l'ipotesi della sua indivisibilità, un'altra scoperta contribuiva a far abbandonare l'antica nozione di a. immutabile: la scoperta della radioattività naturale (H. Becquerel, 1896; Pierre e Marie Curie, 1898), fenomeno nel corso del quale un a., emettendo raggi X, elettroni e a. ionizzati di elio (raggi a), può trasformarsi in un altro a., cioè operare una trasmutazione. I modelli atomici: generalitàL'individuazione dei costituenti atomici apriva un nuovo problema: quello di spiegare teoricamente come tali particelle potessero formare un edificio stabile e di studiarne la struttura. Numerosi fenomeni atomici (emissione degli spettri ottici, effetto fotoelettrico, emissione di raggi X, effetto Zeeman, ecc.) derivano appunto dalla complessità interna dell'a. e per interpretarli occorre costruire modelli capaci di render conto coerentemente dell'insieme dei risultati sperimentali. I modelli atomici: Modelli di Thomson e RutherfordIl primo tentativo di dare dell'a. un'immagine concreta è dovuto a Thomson, che lo descrisse come una sfera di elettricità positiva, omogenea e indivisibile, entro la quale si trovano immersi gli elettroni in condizioni di equilibrio elettrostatico . A questo schema J. Perrin, nel 1901, oppone un modello planetario: l'a. sarebbe composto da un nucleo centrale, positivamente carico, attorno al quale, a distanze relativamente immense, ruotano gli elettroni, mantenendo così l'equilibrio tra la forza d'attrazione coulombiana e la forza centrifuga. Dieci anni dopo, nel 1911, E. Rutherford riprende e sviluppa questo modello che consente di interpretare i suoi esperimenti di diffusione delle particelle alfa nella materia (in particolare non si spiegava con l'a. pieno di Thomson il grande percorso che queste particelle erano in grado di fare nella materia). La dimensione del nucleo dedotta dalle esperienze di diffusione di Rutherford è dell'ordine di 10- 15¸10-14 m, mentre il raggio dell'orbita degli elettroni è di ca. 10-10 m. Gli studi di diffusione consentirono inoltre di determinare il numero di elettroni di molti a. (numero atomico Z) e il fatto che questo numero risultasse uguale per gli isotopi di uno stesso elemento permise di confermare che le proprietà chimiche dei vari elementi sono determinate unicamente dagli elettroni orbitali. I modelli atomici: Modello di Bohr-SommerfeldIl modello di Rutherford, malgrado avesse introdotto il concetto fondamentale di nucleo e attirato l'attenzione sul ruolo degli elettroni periferici, si esponeva a due importanti obiezioni: l'instabilità intrinseca di un tale a. e l'impossibilità di interpretare l'esistenza degli spettri atomici discontinui (v. spettroscopia). Infatti gli elettroni, nel corso della loro traiettoria, per le leggi dell'elettrodinamica dovrebbero emettere radiazioni, perdendo gradualmente la loro energia cinetica fino a essere attirati nel nucleodando quindi luogo a uno spettro di emissione continuo; fenomeni questi in contraddizione con l'esperienza. Il fisico danese Niels Bohr, a cui nel 1922 fu attribuito il premio Nobel per i suoi studi sulla struttura atomica, pur accettando sempre il modello di a. planetario di Rutherford abbandonò ogni tentativo di interpretare i dati sperimentali nell'ambito dell'elettrodinamica classica ed estese anche all'a. le nuove ipotesi quantistiche elaborate da Max Planck all'inizio del secolo. I postulati della teoria atomica di Bohr si possono così riassumere: A) postulato meccanico, secondo il quale l'elettrone può descrivere attorno al nucleo solo una serie ben determinata di traiettorie nelle quali non provoca emissione di radiazioni elettromagnetiche di modo che l'energia dell'a. resta costante; quest'ultima può assumere solo una serie di valori discreti che costituiscono i livelli energetici dell'a. (quantizzazione delle orbite); B) postulato ottico, per il quale un elettrone può passare da un'orbita a cui corrisponde un'energia Ei a un'altra a cui corrisponde un'energia Ef mediante l'assorbimento (o l'emissione, se Ef è minore di Ei) di un quanto (quantità minima di una grandezza fisica che dipende da due valori di questa) di energia elettromagnetica alla quale è associata la frequenza < vedi formula > . La costante h =6,625×10-34 J×s è chiamata costante di Planck. Il modello di Bohr applicato all'a. di idrogeno consente, in ottimo accordo con i risultati sperimentali, calcoli precisi delle sue dimensioni (appunto caratterizzate dal raggio minimo o raggio di Bohr: RB=0,529×10-10 m), dei livelli energetici e degli spettri di emissione atomici studiati da J. I. Balmer (1885), T. Lyman (1906), L. C. H. Paschen (1908) e altri. Fra i differenti livelli energetici possibili, contrassegnati dal simbolo n( n =1, 2, 3, ..., numero quantico principale) e corrispondenti ai successivi strati elettronici che avvolgono il nucleo, indicati con le lettere K, L, M, ..., l'a. tende a stare, in assenza di sollecitazioni esterne, nello stato stabile di minor energia ( n =1, elettrone nello strato K), detto stato fondamentale. In seguito all'assorbimento di radiazione da parte dell'elettrone, questo passa a un livello d'energia superiore (transizione energetica) portando l'a. in uno stato eccitato. Tale stato è però instabile e dopo un certo tempo l'a. ritorna alla sua configurazione fondamentale liberando l'energia in eccesso emettendo un fotone. L'elettrone può anche allontanarsi dal nucleo qualora l'a. stesso assorba un'energia superiore all'energia di legame elettronico (13,6 eV per l'idrogeno). L'a. allora non è più elettricamente neutro ma presenta una carica positiva; è, cioè, ridotto allo stato di ione. A. Sommerfeld generalizzò il modello di Bohr postulando l'esistenza di orbite elettroniche ellittiche (anziché circolari) con il nucleo in uno dei fuochi. Ne risulta che per ciascuno dei valori permessi dell'energia, p. es. per l'ennesimo, vi sono n orbite ellittiche stabili, ognuna caratterizzata da un numero intero (numero quantico azimutale l =0, 1, 2, 3, ..., n-1) che si interpreta come il momento della quantità di moto dell'elettrone orbitale rispetto al nucleo . In questo modello risulta quantizzato anche l'orientamento spaziale delle orbite e precisamente gli orientamenti permessi per un elettrone in uno stato a cui competa il numero quantico azimutale l sono in numero uguale a 2 l +1. Ciascun orientamento viene contraddistinto da un numero intero, positivo o negativo, m(|m|£ l) chiamato numero quantico magnetico. Le imperfezioni della teoria di Bohr-Sommerfeld non tardarono a manifestarsi: la sua validità era limitata all'a. di idrogeno e anche in questo caso essa non dava un'interpretazione soddisfacente dell'intensità delle righe spettrali che compongono lo spettro d'emissione atomico. Per risolvere questi problemi, fisici illustri come L. de Broglie, E. Schrödinger, P. A. Dirac, M. Born, W. Pauli e W. Heisenberg (tutti insigniti del premio Nobel per i loro studi) impressero alle ricerche, tra il 1920 e il 1930, orientamenti ancora più audaci che dovevano rivoluzionare la fisica. Ipotesi e modelli della meccanica quantisticaNel 1923 L. de Broglie avanzò l'ipotesi che a ogni particella materiale in movimento potesse essere associata un'onda e che quindi le particelle stesse godessero delle proprietà ondulatorie di cui è dotata la luce, prevedendo per esse analoghi fenomeni di diffrazione, confermati poi sperimentalmente da C. Davisson e L. H. Germer nel 1927. Le prove sperimentali degli aspetti ondulatori delle particelle che compongono l'a. erano incompatibili con le leggi e i principi della fisica classica; si capisce allora perché la costruzione di nuovi modelli atomici sia stata legata all'elaborazione di una nuova meccanica, valida a livello atomico e subatomico, la meccanica quantistica nelle sue principali formulazioni: meccanica ondulatoria e meccanica delle matrici. Lo stato di un elettrone atomico viene descritto nella nuova meccanica da una speciale funzione matematica, la funzione y o funzione d'onda, soluzione dell'equazione di Schrödinger < vedi formula > nella quale < vedi formula > è il laplaciano di y( x, y, z); U, V e m sono rispettivamente l'energia totale, l'energia potenziale e la massa dell'elettrone; h è la costante di Planck. Dal punto di vista fisico, il quadrato del modulo di y, | y |2, indica la probabilità che ha l'elettrone di essere presente nel punto di coordinate x, y, z dello spazio. Questa descrizione probabilistica di modello atomico non consente di rappresentare l'a. secondo un preciso schema spaziale: esso può solo essere raffigurato da un nucleo circondato da una nube elettronica di densità di carica (carica nell'unità di volume) r( x, y, z)= r | y |2. La soluzione dell'equazione di Schrödinger dipende da tre parametri che assumono solo valori interi: n, numero quantico principale; l, numero quantico azimutale ( l = 0, 1, 2, ..., n-1); m, numero quantico magnetico (|m|£ l) . Poiché gli elettroni (come fu verificato sperimentalmente da G. Uhlenbeck e S. Goudsmit) sono dotati di un movimento rotatorio (spin) attorno a un proprio asse e i corrispondenti momenti della quantità di moto possono assumere solo i due valori < vedi formula > , si in- troduce un quarto numero quantico (numero quantico di spin) che ha i due soli valori s =+1/2, -1/2. In definitiva, per ogni livello di energia dell'a. vi sono n valori possibili della quantità di moto orbitale dell'elettrone a ognuno dei quali corrisponde una distinta funzione d'onda (orbitale) denominata con le lettere s( l =0), p( l =1), d( l =2), f( l =3), ecc. Poiché per ogni orbitale m può assumere 2 l +1 valori, vi sono in totale < vedi formula > funzioni d'onda distinte per ogni singolo strato elettronico. Questo può quindi contenere sino a 2 n 2 elettroni. Il fattore 2 è dovuto al fatto che a uno stesso orbitale possono appartenere sino a 2 elettroni con numeri quantici di spin diversi. Il numero di elettroni in ciascuno strato è limitato dal principio di esclusione di Pauli che vieta l'esistenza di elettroni con tutti e quattro i numeri quantici eguali. Nei differenti a., con l'aumentare del numero degli elettroni, si riempiono progressivamente gli strati K (2 elettroni), L (8 elettroni), M (18 elettroni), ecc.; lo strato periferico, o strato di valenza, non possiede più di 8 elettroni . Questo schema spiega le principali caratteristiche della configurazione elettronica degli elementi e la periodicità delle loro proprietà chimiche, determinate principalmente dal grado di occupazione dello strato di valenza. Le equazioni della meccanica quantistica vengono risolte senza particolari difficoltà solo nel caso dell'a. di idrogeno e degli a. degli elementi con un numero di elettroni maggiore di uno assimilati a un modello nel quale siano stati sottratti tutti gli elettroni tranne uno ( a. idrogenoidi). Aumentando, infatti, il grado di complessità del sistema atomico, cioè per a. con più di due elettroni, oltre all'interazione elettrone-nucleo interviene l'interazione tra elettroni e le equazioni che descrivono il sistema diventano talmente complicate che si rivelano insolubili. Occorre allora introdurre opportune approssimazioni fisiche che consentano di semplificare il problema. È quanto è stato fatto verso il 1930 con l'elaborazione di particolari modelli atomici quali il modello di Hartree-Fok utilizzato per lo studio degli a. leggeri e il modello di Thomas- Fermi valido per gli a. pesanti con un gran numero di elettroni. Il modello di Hartree-Fok, applicato da D. Hartree e V. Fok negli anni 1928-30 all'a. di elio (due elettroni orbitali), è basato su di un importante metodo di approssimazione, detto del campo autoconsistente, nel quale si considera per ogni elettrone il campo elettrico creato dal nucleo e dagli altri elettroni. La funzione d'onda del sistema è costruita effettuando il prodotto delle funzioni d'onda dei singoli elettroni. Per gli a. di massa elevata che possiedono un gran numero di elettroni il metodo precedente dà luogo a calcoli molto complicati; si applica allora, accontentandosi di risultati meno precisi, un altro metodo di approssimazione proposto da E. Fermi e L. Thomas nel 1927. È questo un modello atomico quasi classico in quanto gli elettroni sono assimilati a particelle di un gas. Considerazioni di meccanica statistica consentono per un tale modello di valutare la distribuzione di carica elettronica in un a. e il potenziale elettrico medio dovuto alla distribuzione. Alcuni risultati della ricerca sperimentaleNell'ambito della ricerca sperimentale più recente, ai fini dello studio più approfondito della struttura nucleare e in particolare della distribuzione delle particelle del nucleo, sono stati prodotti a. di tipo diverso da quelli esistenti in natura. Al C.E.R.N. di Ginevra, p. es., sono stati prodotti l' a. sigmico, con un elettrone periferico sostituito da una particella sigma meno ( S -), e l' a. antiprotonico, con un elettrone sostituito da una coppia protone-antiprotone. Sono stati prodotti anche vari a. mesici sostituendo a un elettrone periferico un mesone ( m -, p - e K -). Analogamente a quanto ottenuto per gli elettroni periferici, si è inoltre riusciti, a partire da studi iniziati nel 1952, a sostituire alle particelle normalmente costituenti i nuclei altre particelle più pesanti quali, p. es., particelle lambda ( L) con la costituzione di ipernuclei e pertanto iperatomi. Per quanto riguarda la produzione di a. pesanti di elementi transuranici, v. radioattività.BibliografiaE. Fermi, Introduzione alla fisica atomica, Bologna, 1928; L. de Broglie, De la mécanique ondulatoire à la théorie du noyau, Parigi, 1946; E. Persico, Gli atomi e la loro energia, Bologna, 1960; G. 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